"MATER NAZARENA " S.S.M.O.M.D.T.


 

 

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IL PADRE NOSTRO

Ascolta il Padre Nostro in latino recitato da Papa Benedetto XVI  

 

E' una preghiera di poche righe… Le sue frasi sono brevi, le sue parole sono semplici, eppure di un'abissale profondità… Non sono solo parole umane. Sono realmente 'parola di Dio' in forma umana. Hanno perciò una efficacia divina… Non ci può essere educazione alla preghiera senza una vera iniziazione al Padre Nostro". Purtroppo lo abbiamo ridotto ad una formula, rendendo sempre più difficile recuperare quel contenuto iniziatico che gli è peculiare.

La domanda che dovremmo porci è: cosa mi comunicano le singole espressioni, quali archetipi evocano in me?

I commenti teologici al Padre Nostro sono innumerevoli, da Tertulliano, che lo ha definito 'breviarium totius Evangelii", al Catechismo della Chiesa Cattolica.

Ovviamente tale chiave di lettura non deve essere intesa come alternativa a quella religiosa, bensì complementare. Infatti, per dimostrare l'esistenza di un collegamento tra le singole espressioni di questa preghiera e gli archetipi di base dell'Astrologia, mi avvarrò, soprattutto, dei commenti che sono stati redatti nei primi secoli della storia cristiana.

Esistono due versioni del Padre Nostro: quella secondo Matteo (Mt 6, 9-13) e quella secondo Luca (Lc 11, 2-4). La loro struttura è fondamentalmente identica ma il testo secondo Matteo è quello più completo e che recitiamo abitualmente.

Padre nostro che sei nei cieli
Iniziare una preghiera con il vocativo 'Padre' è un modo 'diretto, caldo, affettuoso di rivolgersi a Dio, senza perifrasi e come per impulso naturale". Inoltre 'non diciamo 'Padre mio, che sei nei cieli'… la nostra preghiera è pubblica e comunitaria, e quando preghiamo, preghiamo per tutto il popolo, non per il singolo, perché noi come popolo siamo una cosa sola" (Cipriano). La coralità evidenziata da questo aggettivo pervade e caratterizza l'intera preghiera.

Il Padre invocato dai discepoli di Gesù è lo stesso che Egli chiama costantemente 'Padre mio' e 'Padre celeste'. Nel solo Vangelo secondo Matteo, Gesù usa quest'ultima espressione ben sette volte (Mt 5,48; 6,14; 6,26.32; 15,13; 18,35; 23,9). 'Quando dice che Dio è nei cieli, non vuole certo assegnargli un confine, ma intende sollevare dalla terra lo spirito di coloro che pregano e innalzarlo negli eccelsi spazi, nelle dimore celesti" (Giovanni Crisostomo). Riecheggia l'oracolo del Signore: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie vie… Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri" (Is 55,8-9).

 Sia santificato il tuo nome
 Venga il tuo regno
Esiste una relazione molto stretta tra glorificazione di Dio e santificazione del suo Nome. 'Fra tutti i beni il principale è questo, che in ogni momento della mia vita il nome di Dio sia glorificato… Perciò, se io mi rivolgo a Dio nella preghiera così: sia santificato il tuo nome, spero anche che la forza delle parole produca in me la grazia della coerenza. Come se dicessi: possa io diventare, con il vigore del tuo soccorso, irreprensibile, giusto, pio" (Gregorio di Nissa). 'Sia santificato significa infatti sia glorificato… E' come se dicessimo a Dio: fa, o Signore, che la nostra vita sia un tale specchio di purezza e di trasparenza che tutti, vedendo noi, rendano gloria a te" (Giovanni Crisostomo). Ancora più trasparente, se possibile, è il dialogo fra Mosè e il Signore, che si legge in Esodo 33,18-19. Mosè disse al Signore: "Mostrami la tua gloria". E il Signore rispose: "Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te".

 Nell'ambiente culturale biblico il nome sta per la persona e mai appare riducibile a una pura denominazione. L'imposizione, il cambiamento del nome indicano una qualifica in ordine a una missione da compiere. Nominare qualcosa significa, in qualche modo, darle un destino. Dio chiama un pastore e gli dà il nome di Abramo, col quale è costituito 'padre di moltitudini'. Imporre un nome a qualcuno è come affidargli un incarico.

Il regno di Dio è il nucleo centrale della predicazione di Gesù. 'Con il dito di Dio' (Lc 11,20) Gesù sconfigge Satana. E' ciò che Egli annuncia inaugurando il suo ministero: "Gesù cominciò a predicare e a dire: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino" (Mt 4,17).

La parola Regno ricorre novantanove volte nei vangeli sinottici e novanta volte è in bocca a Gesù che, tuttavia, non ne dà mai una definizione. 'Interrogato dai farisei: 'Quando verrà il regno di Dio?', rispose: il regno di Dio è in mezzo a voi (oppure: dentro di voi)" (Lc 17,20-21). In particolare, nel Vangelo secondo Matteo esso viene chiamato trentatre volte 'regno dei cieli' e due volte 'regno del Padre' (Mt 13,43; 26,29).

   Sia fatta la tua volontà
   Come in cielo così in terra
Dio "tutto opera efficacemente, conforme alla sua volontà" (Ef 1,11). Può accadere che non ci dia ciò che desideriamo "perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare" (Rm 8,26). Dio, nella sua volontà salvifica, supera i nostri desideri, corregge i nostri desideri equivoci, e la sua volontà non è mai da temere. Gesù stesso dice: "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato a compiere la sua opera" (Gv 4,34). "Quello che, dunque, ci viene chiesto ora è di perseverare nella volontà di Dio… O almeno di non avere alcun sentimento contrario alla sua volontà… Infatti, mentre siamo qui in terra in una natura mortale e mutevole, non è possibile che la volontà di Dio regni perfettamente. Ma è nelle nostre possibilità terrene che la nostra volontà si ravveda da quei moti dell'anima (leggi: passioni) che sono contrari alla volontà di Dio e che giunga sino a non accettarne alcuno" (Teodoro di Mopsuestia).

"…Poiché abbiamo un corpo che viene dalla terra e uno spirito che viene dal cielo, noi siamo terra e cielo, e preghiamo che sia fatta la volontà di Dio nell'uno e nell'altro, cioè sia nel corpo che nello spirito. Esiste tra carne e spirito una lotta continua e uno scontro quotidiano. Sono reciprocamente in disaccordo… Perciò chiediamo che con l'aiuto di Dio si crei armonia tra i due" (Cipriano).

  Dacci oggi il nostro pane quotidiano
  E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori
L'enfasi cade sul pane: il più umile dei bisogni. Il pane è il frutto del nostro lavoro (Gen 3,19): "Dacci il pane vuol dire anche: possa ottenere il nutrimento grazie alla mia giusta fatica" (Gregorio di Nissa). Inoltre, Nostro Signore ci insegna a chiedere nella preghiera: dacci oggi il pane che ci è necessario. Come a dire che, mentre siamo in questa vita, abbiamo bisogno di quanto è necessario usare… Pane, in effetti, è proprio il nome con cui egli designa ciò che serve alla sussistenza della natura… Quindi, poiché è il Creatore stesso che ne ha imposto l'uso, ci conviene possedere il necessario. Ma non il superfluo. Infatti, a coloro che desiderano raggiungere la perfezione non conviene procurarsi e conservare il superfluo e ciò che va oltre il necessario" (Teodoro di Mopsuestia). Dio 'non ci comanda di pregare per chiedere ricchezze, lusso, vestiti costosi, né altre cose del genere. Ci esorta a domandare soltanto il pane, e il pane quotidiano…" (Giovanni Crisostomo).

Il fatto che l'immagine del debito ricorra così spesso nei Vangeli suggerisce che per Gesù essa si prestava molto bene a ritrarre la situazione dell'uomo: l'uomo è per essenza debitore. "Che cos'è il debito se non il peccato? Se non ti fossi lasciato corrompere con i soldi che ti sono stati dati in prestito da un estraneo, ora non ti troveresti in una situazione di bisogno, e proprio per questo ti viene addebitato il peccato… Con il diavolo hai contratto un debito che non era necessario. Perciò tu, che in Cristo eri libero, sei diventato debitore del diavolo… Ma il Signore… ha stracciato il documento del tuo debito e ti ha restituito la libertà (leggi: vita)" (Ambrogio). "Il perdono dei peccati, infatti, è un atto proprio e particolare di Dio, poiché sta scritto che 'nessuno può rimettere i peccati, se non Dio soltanto" (Lc 5,21) (Gregorio di Nissa).

  E non ci indurre in tentazione
  Ma liberaci dal male
Lungi da noi il pensiero che il Signore ci tenti, quasi che egli non conosca la fede di ciascuno o addirittura brami di farci cadere. Può sembrare che sia così, ma non lo è, perché questa debolezza e questa malizia sono caratteri distintivi del diavolo. Il modo di agire di Dio è diverso. Vedi ad esempio il caso di Abramo. Non gli fu ordinato di sacrificare il figlio per tentare la sua fede, ma per metterla alla prova" (Tertulliano).

"C'è infatti un altro tipo di tentazione, che più propriamente si chiama prova… Quindi, con queste parole della preghiera, non ci indurre in tentazione, non si domanda affatto di non essere tentati, ma di non essere gettati nella tentazione, uscendone sconfitti… Dobbiamo allora concludere che le tentazioni provengono sì da Satana, non per un suo potere però, ma per un permesso del Signore. E l'intenzione di Dio nel concedere tale facoltà al demonio è quella di punire gli uomini per i loro peccati o di metterli alla prova ed istruirli secondo la sua misericordia. E' allora molto importante discernere in quale tipo di tentazione ci si imbatte…" (Agostino).

Noi "preghiamo di essere liberati dalla tentazione, non già per non essere tentati, il che è impossibile, ma per non soccombere alla tentazione, come coloro che da essa sono stati conquistati e sconfitti" (Origene). "Così, per esempio, Giuda entrò nel torrente della cupidigia: preso nel vortice dell'avidità del denaro, non riuscì a passare a nuoto, ma fu sommerso nel corpo e nello spirito e rimase soffocato" (Cirillo di Gerusalemme). In comunione con Gesù, noi chiediamo per noi stessi, ma anche per tutti i nostri fratelli, di essere liberati dal male. Questo male è il Maligno. La scrittura lo indica come Satana, il Menzognero, il Cattivo, il Diavolo, l'Omicida, il Tentatore…

A questo punto la preghiera termina, ma è evidente che manca qualcosa.

1. Così come ci è stato tramandato, il Pater è incompleto. In quale modo? La risposta è duplice. In primo luogo bisogna considerare l'ambito in cui è nata questa preghiera, ovvero quello della Religione in sé, Cristiana poi.

Conclusione

'Pur essendo la preghiera del cristiano, anzi del vero cristiano, il Padre Nostro può dire qualcosa anche al non cristiano: non però all'uomo qualunque, all'uomo senza qualità, ma all'uomo insoddisfatto delle cose che ha e che raggiunge, un uomo che cerca una pienezza che non trova e che tuttavia continua a desiderare e a cercare", perché 'nella preghiera del Signore è condensata tutta la vita e l'esperienza storica dell'umanità, con il suo travagliato svolgimento ed i suoi problemi fondamentali, dal bisogno di fede, al bisogno di pane e di perdono".

'Il Padre Nostro… riunisce i temi più essenziali della predicazione di Gesù ed esprime con forza e concisione la nostra identità come suoi discepoli". 'Non sfugga un particolare significativo: i discepoli non chiedono a Gesù di insegnare loro una preghiera, ma un modo di pregare. E se Gesù risponde insegnando una formula di preghiera, è perché questa racchiude in sé un metodo. Il Padre Nostro non è una preghiera come le altre, fosse pure la migliore, ma è il modello di ogni altra". "Il Padre Nostro… può diventare pure un comune punto di partenza nell'odierno dialogo della Chiesa con coloro che, credendo in un solo Dio, lo invocano come Padre"