Esse quam videri è una frase latina che significa “Essere più che sembrare”, ed è usata come motto da numerose istituzioni culturali a livello mondiale.

“Tutti ti valutano per quello che appari. Pochi comprendono quel che tu sei.”

N. MACCHIAVELLI

nosce-te-ipsum

Storia

Esse quam videri è una frase riportata nel saggio di Cicerone De Amicitia (capitolo 98). Virtute enim ipsa non tam multi praediti esse quam videri volunt (Pochi sono coloro i quali preferiscono essere virtuosi, piuttosto che sembrare tali).

Solo pochi anni dopo Cicerone, Sallustio usò la frase nel suo Bellum Catilinae (54.6), scrivendo che Catone il Giovane esse quam videri bonus malebat (preferiva essere buono che sembrare tale).

Precedentemente ad entrambi gli autori latini citati, Eschilo usò una frase simile in Sette contro Tebe al verso 592, dove gli araldi (angelos) dicono del sacerdote Anfiarao: ou gar dokein aristos, all’ einai thelei (il suo proposito non è sembrare il migliore ma esserlo davvero). Platone citò questo verso nella Repubblica (361b).

Ne il Principe, Niccolò Machiavelli capovolse questa frase in Videri Quam Esse (Sembrare più che essere), con riferimento al modo in cui principe avveduto dovrebbe comportarsi.

Il verso è utilizzato come motto da numerose istituzioni culturali intorno al mondo, ed è in particolare riprodotto nell’Aula Magna della Scuola Militare Nunziatella di Napoli.

“Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo.”

      Ernst Jùnger                             

Nella nostra esperienza ci imbattiamo abitualmente in cose che si vedono e cose che non si vedono. Tuttavia, mai come in questi ultimo anni il vedere ha assunto così tanta importanza da costituire il metro di misura delle cose che esistono o non esistono. Le cose che si vedono, invece, possono ingannare e illudere o, peggio ancora, costruire delle verità virtuali, del tutto immaginari.

Ancora, ci sono parole vicine e parole lontane, parole che nutrano e parole che schiamazzano, parole false e parole vere; le parole possono avere tanti volti! Nel nostro tempo le parole si inseguano e si rincorrono, si soffocano a vicenda e si contraddicono, siamo così assuefatti dal rumore delle parole che ormai non ci ispirano più nessuna fiducia. Nessuno si fida più di una parola data.

C’è stato un periodo in cui anche il nostro Ordine ha subito lo stesso inganno: tutto doveva svolgersi in modo visibile. In nome di questo principio, “ l’Essere e non Apparire” si voleva trasformare in un gran “palcoscenico” in cui i Cavalieri come gli “attori” parlano ed agiscono.

Come conseguenza, gli spazi si sono appiattiti, questa scelta poteva giovare? Possiamo con sincerità constatare che, se questo ha in parte stimolato la partecipazione, purtroppo ci si è accontentati di una superficiale visione delle cose. Come l’orecchio ha bisogno del cuore per generare un vero ascolto, così l’occhio ha bisogno dell’invisibile per scorgere ciò che si cela oltre il velo delle cose.

Il motto “Essere e non Apparire, ci invita a ritrovare uno sguardo diverso. Occorre però “accenderlo” con la luce dell’intimo e in quel credo di Cavaliere, esso ci dona la capacità di vedere e riconoscere ciò che ci è stato rivelato nelle pieghe delle parole e oltre il velo dei simboli, perché chi si accontenta di vedere solo in modo superficiale, lo sguardo resterà inaccessibile ed oscuro.

Il primo passo da compiere è ritrovare la sapienza dell’ascolto e la capacità del discernimento del cuore.

“Non giudicare gli uomini dalla loro pura apparenza; perché la risata leggera che spumeggia sulle labbra spesso ammanta le profondità della tristezza, e lo sguardo serio può essere il sobrio velo che copre una pace divina e la gioia.”

Harry Forster Chapin

L’orecchio e il cuore sono nella tradizione dell’Ordine due “stanze” inseparabili: la prima è il luogo dell’accoglienza,la seconda è lo spazio del discernimento e della comprensione.

Senza l’orecchio il cuore si svuota, senza il cuore l’orecchio si dimentica.

La parola, Infatti, deve poter entrare e rimanere. Le nostre orecchie si sono ammalate: le comunità, infatti, soffrono di incapacità di ascolto. Questa è la vera cura per la noia. Non dobbiamo dimenticare che conoscere, il più delle volte, non equivale ad ascoltare ne nel vedere. L’ascolto come il vedere, infatti, sono gesti che acconsente ad un incontro, è una scelta di libera docilità, è desiderio d’incontro, è volontà di cambiamento.

Lo si può vedere, fermarsi accanto a lui, dargli qualcosa, ma senza guardarlo in viso, per non incontrare il suo sguardo. Lo si può vedere, guardarlo in volto, ma parlare per tutto il tempo senza ascoltarlo e senza avvicinarsi. Lo si può vedere, fermarsi, guardarlo senza paura di parlargli e di ascoltare i suoi bisogni, coinvolgersi, cioè prendere l’altro tra le braccia e portarselo addosso, nella speranza di vederlo guarire e risuscitare. La comunione, il servizio, oso nel dire, l’essenza del Cavaliere, si realizza in toto, nel coinvolgimento ma non nell’apparire.

ESSERE E NON APPARIRE

Nella nostra esperienza ci imbattiamo abitualmente in cose che si vedono e cose che non si vedono. Tuttavia, mai come in questi ultimo anni il vedere ha assunto così tanta importanza da costituire il metro di misura delle cose che esistono o non esistono. Le cose che si vedono, invece, possono ingannare e illudere o, peggio ancora, costruire delle verità virtuali, del tutto immaginari.

Ancora, ci sono parole vicine e parole lontane, parole che nutrano e parole che schiamazzano, parole false e parole vere; le parole possono avere tanti volti! Nel nostro tempo le parole si inseguano e si rincorrono, si soffocano a vicenda e si contraddicono, siamo così assuefatti dal rumore delle parole che ormai non ci ispirano più nessuna fiducia. Nessuno si fida più di una parola data.

C’è stato un periodo in cui anche il nostro Ordine ha subito lo stesso inganno: tutto doveva svolgersi in modo visibile. In nome di questo principio, “ l’Essere e non Apparire” si voleva trasformare in un gran “palcoscenico” in cui i Cavalieri come gli “attori” parlano ed agiscono.

Come conseguenza, gli spazi si sono appiattiti, questa scelta poteva giovare? Possiamo con sincerità constatare che, se questo ha in parte stimolato la partecipazione, purtroppo ci si è accontentati di una superficiale visione delle cose. Come l’orecchio ha bisogno del cuore per generare un vero ascolto, così l’occhio ha bisogno dell’invisibile per scorgere ciò che si cela oltre il velo delle cose.

Il motto “Essere e non Apparire, ci invita a ritrovare uno sguardo diverso. Occorre però “accenderlo” con la luce dell’intimo e in quel credo di Cavaliere, esso ci dona la capacità di vedere e riconoscere ciò che ci è stato rivelato nelle pieghe delle parole e oltre il velo dei simboli, perché chi si accontenta di vedere solo in modo superficiale, lo sguardo resterà inaccessibile ed oscuro.

Il primo passo da compiere è ritrovare la sapienza dell’ascolto e la capacità del discernimento del cuore.

L’orecchio e il cuore sono nella tradizione dell’Ordine due “stanze” inseparabili: la prima è il luogo dell’accoglienza,la seconda è lo spazio del discernimento e della comprensione.

Senza l’orecchio il cuore si svuota, senza il cuore l’orecchio si dimentica.

La parola, Infatti, deve poter entrare e rimanere. Le nostre orecchie si sono ammalate: le comunità, infatti, soffrono di incapacità di ascolto. Questa è la vera cura per la noia. Non dobbiamo dimenticare che conoscere, il più delle volte, non equivale ad ascoltare ne nel vedere. L’ascolto come il vedere, infatti, sono gesti che acconsente ad un incontro, è una scelta di libera docilità, è desiderio d’incontro, è volontà di cambiamento.

Lo si può vedere, fermarsi accanto a lui, dargli qualcosa, ma senza guardarlo in viso, per non incontrare il suo sguardo. Lo si può vedere, guardarlo in volto, ma parlare per tutto il tempo senza ascoltarlo e senza avvicinarsi. Lo si può vedere, fermarsi, guardarlo senza paura di parlargli e di ascoltare i suoi bisogni, coinvolgersi, cioè prendere l’altro tra le braccia e portarselo addosso, nella speranza di vederlo guarire e risuscitare.

La comunione, il servizio, oso nel dire, l’essenza del Cavaliere, si realizza in toto, nel coinvolgimento ma non nell’apparire.