L’enigma di una stella su Betlemme

di Vittorio Messori

Tutto parte dalla stella (il testo non parla mai di cometa, come molti credono) che avrebbe brillato nel cielo di Betlemme alla nascita di Gesù e dal conseguente arrivo di certi magidall’Oriente. Così, almeno, quanto si racconta nel Vangelo di Matteo.

Non si è naturalmente raggiunta la certezza che le cose si siano davvero svolte come raccontato da Matteo, né si giungerà mai a questa sicurezza: è però certo che l’ipotesi che si tratti di un racconto simbolico deve fare i conti con una serie di scoperte effettuate nell’arco degli ultimi tre secoli. Pare intanto provato ormai scientificamente che gli astrologi babilonesi (quasi certamente i magi di Matteo) attendevano la nascita del “dominatore del mondo” a partire dall’anno 7 a.C. Questa data, con l’anno 6 a.C., è tra quelle che gli studiosi danno come più sicure per la nascita di Gesù. Il monaco Dionigi il Piccolo, infatti, calcolando nel 533 l’inizio della nuova era, si sbagliò e posticipò di circa 6 anni la data della Natività.

In questa luce, acquistano nuovo suono i due versetti del secondo capitolo di Matteo: “Nato Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco dei magi arrivare dall’oriente a Gerusalemme, dicendo:”Dov’è il re dei Giudei? Abbiamo veduto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo”.

Ecco le tappe che avrebbero portato a chiarire il perché dell’arrivo e della domanda dei magi.Una vicenda che ha quasi il sapore di un “giallo”.

Nel dicembre del 1603 il celebre Keplero, uno dei padri dell’astronomia moderna, osserva da Praga la luminosissima congiunzione (l’avvicinamento, cioè) di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Keplero, con certi suoi calcoli, stabilisce che lo stesso fenomeno (che provoca una luce intensa e vistosa nel cielo stellato) deve essersi verificato anche nel 7 a.C. Lo stesso astronomo scopre poi un antico commentario alla Scrittura del rabbino Abarbanel che ricorda come, secondo una credenza degli ebrei, il Messia sarebbe apparso proprio quando, nella costellazione dei Pesci, Giove e Saturno avessero unito la loro luce. Pochi diedero qualche peso a queste scoperte di Keplero: prima di tutto perché la critica non aveva ancora stabilito con certezza che Gesù era nato prima della data tradizionale. Quel 7 a.C., dunque, non “impressionava”. E poi anche perché l’astronomo univa troppo volentieri ai risultati scientifici le divagazioni mistiche.

Oltre due secoli dopo, lo studioso danese Munter scopre e decifra un commentario ebraico medievale al libro di Daniele, proprio quello delle “settanta settimane“. Munter prova con quell’antico testo che ancora nel Medio Evo per alcuni dotti giudei la congiunzione Giove-Saturno nella costellazione dei Pesci era uno dei “segni” che dovevano accompagnare la nascita del Messia. Si ha così una riprova della credenza giudaica segnalata da Keplero che, con le “date” di Giacobbe e di daniele, può avere alimentato l’attesa ebraica del primo secolo.

Nel 1902 è pubblicata la cosiddetta Tavola planetaria, conservata ora a Berlino: è un papiro egiziano che riporta con esattezza i moti dei pianeti dal 17 a.C. al 10 d.C. I calcoli di Keplero (già confermati del resto dagli astronomi moderni) trovano una conferma ulteriore, basata addirittura sull’osservazione diretta degli studiosi egiziani che avevano compilato la “tavola”. Nel 7 a.C. si era appunto verificata la congiunzione Giove-Saturno ed era stata visibilissima e luminosissima su tutto il Mediterraneo. Infine, nel 1925 è pubblicato ilCalendario stellare di Sippar. E’ una tavoletta in terracotta con scrittura cuneiforme proveniente appunto dall’antica città di Sippar, sull’Eufrate, sede di un’importante scuola di astrologia babilonese. Nel “calendario” sono riportati tutti i movimenti e le congiunzioni celesti proprio del 7 a.C. Perché quell’anno? Perché, secondo gli astronomi babilonesi, nel 7 a.C. la congiunzione di Giove con Saturno nel segno dei Pesci doveva verificarsi per ben tre volte: il 29 maggio, il 1° ottobre e il 5 dicembre. Da notare che quella congiunzione si verifica soltanto ogni 794 anni e per una volta sola: nel 7 a.C., invece, si ebbe per tre volte. Anche questo calcolo degli antichissimi esperti di Sippar fu trovato esatto dagli astronomi contemporanei.

Gli archeologi hanno infine decifrato la simbologia degli astrologi babilonesi. Ecco i loro risultati: Giove, per quegli antichi indovini, era il pineta dei dominatori del mondo. Saturno il pianeta protettore d’Israele. La costellazione dei Pesci era considerata il segno della “Fine dei Tempi”, dell’inizio cioè dell’era messianica. Dunque, potrebbe essere qualcosa di più di un mito il racconto di Matteo dell’arrivo dall’Oriente a Gerusalemme di sapienti, di magi, che chiedono “Dov’è nato il re dei Giudei?”. E’ ormai certo, infatti, che tra il Tigri e l’Eufrate non solo si aspettava (come in tutto l’oriente) un Messia che doveva giungere da Israele. Ma che si era pure stabilito con stupefacente sicurezza che doveva nascere in un tempo determinato.

Quel tempo in cui, per i cristiani, il “dominatore del mondo” è veramente apparso.

C’è dunque come il polarizzarsi dell’attenzione, il vertice di un’attesa, improbabile per le consuete categorie storiche, proprio attorno agli anni in cui Gesù appare. Il popolo d’Israele considera la fine dell’indipendenza politica e medita su Giacobbe che afferma che il Cristo tanto atteso verrà poco prima che “lo scettro sia tolto da Giuda”. Gli esseni lanciano dal deserto il loro appello a raggiungerli, per attendere nella penitenza e nella preghiera Colui che deve venire. E ne calcolano con sconcertante approssimazione la data. Nelle pianure della Mesopotamia, astronomia e astrologia si uniscono per stabilire che un Messia verrà dalla Giudea a dominare il mondo e stabiliscono che il suo regno comincerà dall’anno che sarà indicato impropiamente come settimo avanti Cristo. Nei quartieri popolari dell’Impero romano c’è fermento: anche tra i pagani l’attesa è viva e si appunta verso Israele. L’eccitazione è tale che i solenni storiografi dei fasti cesarei non disdegnano di raccoglierne gli echi.

E’ dunque un fatto storico provato: inspiegabilmente, l’attesa del mondo si concentra nel primo secolo verso la lontana provincia romana. E qui, la fede nell’annuncio dei profeti e nell’interpretazione che ne danno i dotti è tale che non si esita a rivoltarsi contro i romani: padroni del mondo ma ancora per poco, pensano i ribelli. Sta per giungere colui che assoggetterà anche l’onnipotente impero.

La storia sembra dunque dare enigmatica testimonianza alla parola che gli evangelisti attribuiscono a Gesù: “I tempi sono maturi, l’ora della salvezza è giunta”. Lo scorrere delle vicende umane ha come un attimo di sospensione e pare raccogliersi nella trepidazione dell’attesa. Mentre brilla sulla Palestina la stella, Augusto dà al mondo uno dei pochissimi periodi di pace della storia. Le porte del tempio di Giano, patrono degli eserciti, sono chiuse: è la pax romana.

Tratto dal libro:”Ipotesi su Gesù”, di Vittorio Messori. 1976, Editrice SEI.