L’epopea del Graal:
Dovremo fare un tuffo all’indietro nel passato e tornare a Giuseppe d’Arimatea, l’uomo che ha deposto Gesù dalla Croce. E torniamo ancora indietro di un giorno, in quel famoso Venerdì Santo in cui Gesù, riuniti gli apostoli attorno alla tavola, celebrò l’Ultima Cena.
Si servì, come calice, di una coppa molto antica e di pregevolissima fattura, che Giuseppe aveva in casa.
E quanto sia antica la coppa ce lo narra la tradizione esoterica. Pare che fosse stata intagliata dagli Angeli da uno smeraldo che ornava la fronte di Lucifero (Kether, l’Angelo della Corona), e perso da lui durante la rovinosa caduta dal cielo agl’inferi.
Fu poi affidata ad Adamo, che gioiva della sua vista in quel luogo di bellezze che fu il Paradiso Terrestre.
Ma anche Adamo fu cacciato, e la coppa rimase incustodita fino a quando Seth ottenne di ritornare nel Paradiso e di recuperarla.
Rimase in questo luogo per quaranta giorni, probabilmente gli stessi in cui il Diluvio imperversava sulla Terra, poi scese in Egitto lasciando ad Horus, il primo dio-faraone, il suo calice.
A dire il vero Horus dovette lottare aspramente per riprenderselo
Torniamo all’ultima Cena.
Con l’arresto di Gesù, i soldati portarono la coppa a Pilato, perché ritenuta cosa bella e preziosa, degna del Governatore.
Ma quando Giuseppe d’Arimatea andò da lui a reclamare il corpo di Gesù, Pilato si affrettò a restituirgli la coppa perché non voleva aver nulla a che fare con quell’Uomo e con ciò che gli era appartenuto.
Saltiamo tutti i dettagli, saltiamo anche i trent’anni di prigionia di Giuseppe.
Veniamo alla sua liberazione da parte di Vespasiano, che lo ritrova miracolosamente vivo dopo che era stato murato in una torre da Caifa e dove Gesù stesso gli aveva portato la Coppa.
Dopo la liberazione, con la moglie, il figlio Josefo, il cognato Hebron ed i suoi dodici figli, lascia la Palestina spostandosi a Sarraz, la terra da cui sarebbero discesi i Saraceni.
Qui converte il crudele re pagano Evalac, lo concilia con suo cognato Seraphes ed i due, dopo il battesimo, si chiameranno Mordrain e Nascien.
Diverranno i primi Cavalieri del Graal, ponendo la Coppa in un tempio fatto costruire appositamente.
Sarraz si chiamerà, per i posteri, la Città Celeste.
E’ importante soffermare un istante l’attenzione su questi due regnanti, poiché, dopo un’epopea durata molte centinaia di anni ed otto generazioni, le due dinastie si riuniranno in Galaad, figlio di Lancillotto, cavaliere di Re Artù, l’unico purissimo uomo in grado di toccare il Graal.
Lui, infatti, ritroverà la Sacra Coppa e la riporterà a Sarraz, dove gli angeli assumeranno entrambi in cielo.
Di tutti i cavalieri partiti alla Ricerca del Graal, solo due saranno con lui e lo vedranno: Percival e Bohor (che tra l’altro è suo zio).
Bohor farà ritorno alla reggia di Camelot per riferire al Re che il Graal non è più su questa terra, poiché egli stesso è stato testimone del suo librarsi nel cielo fra le mani di Galaad e degli Angeli.
Da Giuseppe d’Arimatea a Galaad, gli scritti apocrifi danno una ben precisa genealogia dei custodi del Graal, mentre resta abbastanza impreciso il luogo in cui questo veniva custodito.
La Coppa passava di padre in figlio; al custode spettava anche il titolo di “Re Pescatore” e spesso anche l’eredità di una ferita alle gambe.
Mi sembra interessante riportare qui la genealogia, poiché non è molto facile reperire i testi che ne parlano; penso cosi di risparmiare al lettore il lunghissimo lavoro di ricerca.
Partiamo quindi da Giuseppe d’Arimatea che, con suo figlio Josefo, è il primo custode del Graal.
Alla morte di Josefo, la Coppa viene consegnata ad Alain, figlio di Hebron e quindi suo cugino per parte materna (Hebron è il marito della sorella di Giuseppe d’Arimatea).
Alain, votato alla castità, non ha figli.
Ormai tutta la tribù si è spostata in Bretagna, nel castello di Corbenic, dove finora è stato il Graal.
Alla sua morte Alain nomina custode suo fratello Giosuè, il quale sposerà la figlia del Re della Terre Foraine, guarito da lui miracolosamente dalla lebbra.
Giosué, come tutti gli altri discendenti tranne Alain, diventa Re.
Gli succederà suo figlio Amindanap, che sposerà una delle figlie di Re Luces di Gran Bretagna.
Figlio di Amindanap è Chatelois, cavaliere e poi re delle terre paterne, oltre che custode del Graal.
Figlio di Chatelois è Manaal, resosi benemerito per le molte abbazie fatte costruire durante il suo regno.
Lambor, suo figlio, verrà ucciso da un saraceno con una spada affilatissima che questi ha trovato a bordo di una nave abbandonata.
Vedremo in seguito che si tratta della spada destinata a Lancillotto e la nave è quella fatta varare da Re Salomone dopo un sogno profetico.
La stessa che riporterà il Graal a Sarraz.
Allo sfortunato Lambor succede suo figlio Pelleam.
Questi verrà ferito (come già Josefo, poi curato da un angelo) ad entrambe le gambe durante una battaglia.
Vecchissimo e sofferente sarà guarito all’arrivo aI castello di Galaad,di cui sarà il bisnonno, ma questo il Cavaliere lo saprà molto tempo dopo.
Figlio di Pelleam è Pelles, ultimo Re del Graal e Re Pescatore come tutti gli antenati.
Le notizie su di lui ci parlano principalmente della figlia, una donna bellissima che Lancillotto scambierà per Ginevra, di cui è follemente innamorato.
Dall’equivoco, comunque, nascerà Galaad, il cavaliere senza macchia e senza paura che porterà a compimento la missione.
La sua nascita inizialmente viene tenuta segreta, per via dell’errore madornale in cui Lancillotto è incorso.
Poi, il valore di Galaad come cavaliere e la sua bontà straordinaria lo riscatteranno.
Dunque, se rifacciamo i conti all’inverso, vedremo che Galaad è il nono discendente di Giuseppe d’Arimatea (cioè di sua sorella, poiché suo figlio Josefo non toccherà donna).
Anche la genealogia di Lancillotto Del Lago (padre di Galaad) affonda le radici in un contemporaneo, amico e protettore di Giuseppe d’Arimatea, in quel Nascien che fu il primo Cavaliere del Graal, ne venne accecato per aver osato sollevare il velo che lo copriva, ed ebbe la visione profetica di tutta la sua discendenza, fino a Galaad appunto, che sarebbe stato l’ultimo a tenere presso di sé la Coppa su questa terra.
Partiamo, quindi, da Nascien, che a Serraz fece costruire il “Tempio Spirituale” dove il Graal fu custodito fino a quando Josefo lo porterà in Bretagna.
Figlio di Nascien è Celidonio, astrologo e veggente, che diverrà Re di Norgales.
E’ a questo punto (ormai siamo in Bretagna), che Josefo si sposta col Graal a Camelot.
Ma Re Artù e la sua corte sono ancora lontani nel futuro.
Sarà proprio il ricordo di questa coppa, narrato dalle saghe popolari, che spingerà il Re a fondare 1′ “Ordine della Tavola Rotonda” ed i cavalieri sguinzagliati alla sua ricerca.
Ma c’è ancora tempo… Figlio di Celidonio è Narpus, vincitore dei Sassoni, cosi come suo padre gli aveva profetizzato.
Re Narpus chiamerà nuovamente Nascien suo figlio, in onore del valoroso antenato.
Figlio di Nascien Il è Alain il Grosso – da non confondere con Alain, figlio di Hebron , poiché questo Alain non vedrà mai il Graal, mentre l’altro ne fu custode e sacerdote.
Suo figlio fu Izaias, ricordato come sovrano buono e giusto, amato dai suoi sudditi e protettore dei Cristiani profughi dalle regioni peninsulari celtiche.
Jonas, figlio di Izaias, ereditò tutta la bontà paterna al punto da lasciare la Gran Bretagna regalando a suo fratello tutti i possedimenti.
Si trasferisce in Gallia, sposa la figlia di Re Marinox, regnando su queste terre.
Suo figlio ebbe nome Lancillotto.
Ma non confondiamolo con l’eroe di Re Artù: questo sarà suo nonno.
Dunque, Lancillotto tornò in Gran Bretagna, recuperò le terre che suo padre Jonas aveva regalato allo zio e tornò a regnare.
Sposò la figlia del Re d’irlanda ed ebbe due figli: Ban, che in seguito fu padre di Lancillotto del Lago, ed Estor de Mares, illegittimo, che a sua volta fu padre di Bohor, compagno fedele di Galaad.
E il buon Lancillotto del Lago, cui finalmente siamo giunti, si unì carnalmente alla bellissima figlia di Re Pelles e generò Galaad.
Quindi, come abbiamo visto, i primi discendenti della stirpe dei custodi del Graal, dopo nove generazioni, sono tornati a fondersi tra loro e a diventarne allo stesso tempo gli ultimi…
Ma in tutta questa storia, il Graal non è quasi mai a portata di mano.
La prima “Tavola del Graal” è allestita a Sarraz, davanti a Nascien e Mordrain, da Giuseppe d’Arimatea e suo figlio Josefo.
La seconda solenne “Messa del Graal” è celebrata nel tempio-fortezza di Muntsalvac (Corbenic per altri) da Alain.
A questo punto si inseriscono nella storia i sacerdoti custodi vestiti di bianco.
Così ce ne parla testualmente l’anonimo del XIII secolo:
“Mordrain si fece condurre da Josefo presso l’eremita e diede tanto lustro a quel luogo che, in capo a quel medesimo anno, vi fu costruita una bella e grandiosa abbazia, affidata alle cure dei monaci dalla bianca veste.
Costoro erano dignitari del Re i quali avevano seguito il loro sovrano e, come lui, avevano abbandonato ogni forma di vita mondana”.
Potrebbero essere i Catari, sterminati qualche secolo più avanti.
La terza Tavola del Graal viene istituita secondo le istruzioni di Mago Merlino ai Piani di Cardoel nel Galles: siamo ormai nel regno di Re Artù, ma il Graal non è presente.
Gataad viene ammesso e siede nel seggio a lui riservato.
E’ il giorno di Pentecoste dell’anno quattrocentocinquantaquattro.
Avviene un prodigio: il Graal appare velato e librato in un raggio di sole.
Ai cavalieri attoniti si rivela una serie di immagini: dalla luce accecante appare un Re coronato e crocifisso, poi un bimbo, poi un uomo che porta una corona di spine e sanguina dalla fronte, poi un calice tempestato di pietre.
E’ da questa visione che i cavalieri giurano di ritrovarlo e di esserne degni, e partono alla sua ricerca.
Come abbiamo detto lo ritroverà Galaad per riportarlo a Sarraz, sua patria d’origine, e dopo?
Agli inizi del VII secolo il re persiano Cosroe II, colui che rubò la Croce da Gerusalemme, fece costruire, sul sacro monte di Shiz in Iran, un tempio meraviglioso, nel luogo di nascita di Zoroastro.
Qui custodi la reliquia ed un “vaso di fuoco”, fino a quando, nel 629, l’imperatore bizantino Eraclio marciò su Shiz, rase al suolo il tempio e riportò la Croce a Gerusalemme.
E il Graal?
Così ne parla, nel 1270, Albrecht von Sharffenbergh nel libro “Il giovane Titurel”:
“Nella Terra della Salvezza, nella foresta della Salvezza, sorge un monte solitario. Il Re Titurel (nonno di Parzival) lo cinse di mura e vi costruì un ricco castello perché fosse il tempio del Graal. Il Graal allora non aveva una sede fissa, ma vagava invisibile nell’aria”.
Sembra, dunque, che già all’epoca seguisse la presenza della Croce in Iran e della Sindone in Europa.
Nel 1208 vediamo, infatti, la Sindone a Besancon, custodita nella Chiesa di Santo Stefano.
Renè Guènon parla di “centri spirituali” predisposti proprio al mantenimento della tradizione primordiale.
Il messaggio esoterico del Graal è in fondo quello della ricerca della restaurazione di un ordine, di un’armonia poi andata distrutta: dalla ribellione di Lucifero a quella di Adamo e così via.
La Sindone rappresenta oggi uno degli archetipi della Restaurazione (il sacrificio del figlio di Dio per la Redenzione del genere umano), una specie di Arca dell’Alleanza per i giorni nostri. Ed il Graal ne è il sigillo invisibile.
Ecco cosa ne scrive Guénon:
“La perdita del Graal, o di qualcuno dei suoi equivalenti simbolici, significa in definitiva la perdita della tradizione con tutto ciò che essa comporta.
Ma a dire il vero tale tradizione è piuttosto nascosta che perduta, o almeno può essere perduta solo per quei centri secondari che abbiano cessato di essere in relazione diretta col Centro Supremo.
Quest’ultimo, invece, conserva sempre intatto il deposito della Tradizione e non è intacccato dai cambiamenti che sopravvengono nel mondo esterno…
Ma, come il Paradiso terrestre è diventato inaccessibile, cosi il Centro Supremo può, nel corso di un certo periodo, non essere manifestato esteriormente.
Si può dire allora che la tradizione è perduta per l’insieme dell’umanità, perché è conservata solo in alcuni centri rigorosamente chiusi, mentre la massa degli uomini non vi partecipa più in modo cosciente ed effettivo, contrariamente a quanto avveniva nello stato originario.
Tale è appunto la condizione dell’epoca attuale, il cui inizio risale, del resto, molto aldilà di quanto è accessibile alla storia “profana”. E così la storia della tradizione può, secondo i casi, essere in tesa in questo senso generale, oppure essere riferita all’oscuramento del centro spirituale che, più o meno invisibilmente, reggeva i destini di un popolo particolare o di una determinata civiltà…”
A livello sempre esoterico siamo alla fine di un’Era, quella dei Pesci, in cui vigeva il predominio del singolo sulla massa.
L’Era Nuova è iniziata, ma la Luce è ancora nascosta.
Le istituzioni spirituali o temporali, basate sul vecchio principio, hanno cessato il loro compito di guida coatta.
Così come sono cadute le grandi monarchie, i poteri assoluti, i tiranni che opprimevano milioni di persone, cadranno gli ultimi baluardi del potere accentrato.
Ma i tempi ancora non sono maturi.
Ci vorranno forse due, tre, cinque secoli affinché l’umanità prenda coscienza del proprio “Sé” nascosto.
E, intanto, la Sindone sonnecchia avvolta su sé stessa, come Kundalini nel cesto.
Ed il Graal veglia su di Essa dall’alto della cupola del Guarini, tutta traforata come se la Luce debba emanare da lui verso l’esterno, verso la città magica bagnata da due fiumi.
Perché da qui dovrà scaturire la scintilla.
E ogni tanto il Graal si sposta, si dirige verso quei luoghi in cui si accentra occasionalmente un fortissimo potere spirituale, poi ritorna qui, dove si fermano i pensieri d’amore del mondo Cristiano.
Si è scritto che i Graal sono tre, e soltanto al momento della loro unificazione il Pianeta sarà salvo.
Sembra un assurdo, ma a livello simbolico è esatto.
Se ci atteniamo al discorso di Guénon (che fa parte della più stretta tradizione esoterica), il Graal rappresenta il simbolo del possesso della perfezione spirituale.
E’ il sigillo che contraddistingue un “centro di potere”, sempre spirituale s’intende.
Sul pianeta, in questo momento, esistono tre grandissimi centri di Potere.
Essi rappresentano il fulcro delle tre grandi religioni in cui l’umanità si suddivide: la Giudaico-Cristiana, l’Islamismo ed il Buddhismo, anche se, nell’ambito di ciascuna, si inseriscono correnti diverse, spesso anche contrastanti.
Per la tradizione Giudaieo-Cristiana il punto focale è proprio Torino, almeno fino a quando vi resteranno la Sindone, la reliquia della Croce e, quindi, virtualmente, il Graal.
Torino, dunque, e non Roma o Gerusalemme, come si sarebbe tentati di pensare.
Non è certo verso il Papato che si rivolgono i pensieri d’amore dei Cristiani sparsi su cinque continenti, ma verso quel “Lino” che raccolse il corpo del Cristo sconfitt6 dalla Morte e dall’uomo, e lo vide sfolgorare vittorioso sulla materia e lo Spirito, tre giorni dopo, Risorto.
L’islamismo trova il suo “centro spirituale di potere” alla Mecca, dove confluiscono, sia fisicamente che col costante pensiero, milioni di fedeli.
Il loro “Graal”, se così possiamo definirlo, è la “Pietra Nera” caduta dal cielo, dispensatrice di miracoli.
Per il Buddhismo il discorso si fa un po’ più complesso. Il “centro spirituale” è in una valle del Tibet, inaccessibile a coloro che non sono addentro al discorso iniziatico, è la corrispondenza terrestre della mitica Shamballah celeste.
In questa valle, un giorno all’anno, in corrispondenza del Wesak (plenilunio dei Gemelli), si riuniscono fisicamente o in astrale i Maestri dei centri esoterici del Pianeta.
All’ora esatta del Plenilunio si manifesta il Buddha, che torna a rinnovare l’impegno dinanzi alla Gerarchia celeste.
E’ un momento di altissimo impegno spirituale, quasi impossibile da tradurre in parole.
Questo Centro, in futuro, sarà destinato a divenire il “Centro Supremo”, quando finalmente i tre Graal saranno unificati in uno solo.
Cioè, quando non vi saranno più barriere dettate da religioni diverse, ma ci sarà un Credo unico, più che planetario, Cosmico: il Graal mitico tornerà a palesarsi, ad essere visibile e fruibile dall’Umanità tutta.
v Giuditta Dembech, al capitolo “Gli eredi degli Esseni” racconta un suo incontro con un gruppo di persone che si definiscono “eredi degli antichi esseni”. E’ riportato qui di seguito un estratto dalla sua intervista con loro:
“Il calice” spiega il maestro “è la sorgente di luce da cui il neofita può bere, è come attingere dalla fonte stessa della conoscenza.
L’uomo che dà la conoscenza, dona se stesso totalmente”. […] “E’ proprio del calice che vorrei parlare; messo così in primo piano, ha qualche riferimento col Graal?”.
C’è un rapido scambio di intese fra il maestro bianco e quello nero, esitano un momento a rispondere, ma infine è un sì.
La cosa si fa interessante.
“Le rivelazioni secondo cui il Graal potrebbe trovarsi a Torino sono attendibili?”.
“Lo sono molto più di quanto possa sembrare all’apparenza”.
“Allora è vera la teoria secondo cui la città che detiene la Sindone possiede anche il Graal?”.
“Posso confermare che il Graal è qui a Torino, ma riguardo alle analogie con la Sindone, sul piano esoterico c’è una grande differenza.
Mentre la Sindone è una reliquia del Cristo morto, il Graal è il simbolo di Cristo vivo.
Le ho rivelato una cosa molto importante…”.
La mia attenzione però, è polarizzata sull’esile traccia del Graal, qui a portata di mano eppure nascosto.
“Chi può possedere e nascondere un tesoro del genere?”.
“Secondo lei, a chi spetterebbe di diritto?”.
Già, non ci avevo mai pensato!
Però mi trovo fra gli esseni o per lo meno fra persone che si professano tali, Gesù doveva essere secondo la tradizione un loro “confratello”; un altro loro discepolo secondo la stessa versione ha portato via entrambe le reliquie, quindi per forza di cose, rispondo: “Gli Esseni?”
Altro largo cenno con le mani, altro implicito consenso.
“Ma è vero, lo avete voi?”
“Non lo teniamo nascosto, ma neppure esposto al pubblico…
Quando le ho chiesto “secondo Lei a chi spetterebbe di diritto” non intendevo necessariamente un certo gruppo, ma più intimamente chi ha occhi per vedere.
Per cui, se vuole, si può anche intendere che sia esposto all’umanità intera, ma solo chi sa vedere può coglierne l’infinita bellezza, e questa non è certo fatta di oro o di gemme”.
Preferisco lasciar perdere l’argomento.
Mi sembra assurdo che la mistica coppa cercata per duemila anni in mezzo mondo, mi venga offerta cosi, su un vassoio d’argento.
E’ troppo semplice, troppo a portata di mano per poterlo credere.
Meglio peccare di diffidenza che di credulità.
Probabilmente, questi esseni redivivi, non si riferiscono ad un oggetto reale, tangibile.
Ho quasi la certezza che il “loro” Graal sia qualcosa di metafisico. Il suo possesso anche solo spirituale, implica il raggiungimento della Conoscenza, della capacità di sondare il mistero penetrandolo dal didentro.
Si è dunque parlato del Graal in chiave metaforica, o se vogliamo di parabola.
Cambiamo argomento…
Dopo l’uscita del primo volume, nel 1978, le rivelazioni sulla presenza del Graal a Torino, accesero la fantasia di molti.
In una edizione successiva, aggiunsi un nuovo capitolo dove, ricercando meticolosamente su testi trecenteschi e medioevali, ero riuscita a ricostruire la genealogia dei “Re del Graal”, da Giuseppe d’Arimatea, che lo ricevette direttamente da Gesù, a Galaad il “puro folle” figlio di Lancilotto.
Attraverso questa genealogia, si riuniscono le tradizioni cristiane e le grandi saghe nordiche.
Giuseppe d’Arimatea è il primo a ricevere il Graal ed a vederlo nella sua realtà fisica, come una coppa che collocherà all’interno di un’Arca.
L’Arca viene portata attraverso tutte le peregrinazioni per mare e per terra; soltanto il Sacerdote Custode del Graal potrà toccarla. Chiunque si avvicinasse, ne rimarrebbe fulminato.
Proprio come la misteriosa “Arca dell’Alleanza” che Mosé custodisce gelosamente durante l’Esodo.
Il Graal, una volta aperta l’Arca per le funzioni sacre, emette luci meravigliose, a volte, si palesa l’Angelo che darà istruzioni al Sacerdote su ciò che si deve o non si deve fare.
Sugli spostamenti e la direzione da prendere.
Dal Graal emana anche una musica celestiale, che fa piangere i presenti, che tocca il loro cuore e lo prepara alla celebrazione della Messa del Graal, dove viene consacrato ed offerto il Pesce rituale.
Il Custode del Graal infatti, verrà anche denominato “il Re Pescatore”.
Gesù stesso ha stabilito le modalità.
Giuseppe va perciò di fronte alla Coppa affidatagli dal Cristo e prega di essere illuminato.
Il Cristo Logos, l’Uno dell’inizio dei tempi si rivela, ed invita Giuseppe ad allontanare i peccatori, così esprimendosi: “…In memoria di quella Tavola (l’Ultima Cena), prendine un’altra e falla apparecchiare; quando l’avrai preparata nel modo dovuto, chiamerai il tuo cognato Hebron… Fallo scendere nel fiume a pescare, ed il primo pesce che prenderà… lo metterai sopra a questa tavola.
Poi prendi la coppa e ponila esattamente al centro e tu ti siederai là di fronte; dopo averla coperta con una tovaglia, riprendi il pesce e mettilo davanti alla coppa …
Indi riunisci la tua gente.
Tu occuperai il medesimo posto che io occupai nell’Ultima Cena…”
Ed è in questa stessa occasione che Gesù, manifestatosi attraverso la luce del Graal, comunica a Giuseppe l’esistenza del “seggio periglioso”.
“…Questo posto non sarà occupato da nessuno, prima che venga il terzo discendente della tua stirpe, e sarà della tua famiglia; Hebron deve generarlo… e colui che discenderà da suo figlio, occuperà proprio questo posto”.
Fino a quando il Graal è custodito materialmente dai Re sacerdoti a cui è stato affidato, si palesano prodigi di ogni genere, guarigioni, visioni, rivelazioni sul futuro delle genti che abiteranno le Terre in cui il Graal transita.
Ma l’effetto più straordinario è comunque la presenza di Gesù stesso, che quando necessario, si rivela e parla.
Così dirà del discendente di Hebron:
“Gli presenterai la Coppa e gli rivelerai quello che essa contiene, cioè il sangue sgorgato dal mio corpo… e in tutti i territori in cui si recherà, egli celebrerà il mio nome.”
Alain, custode designato inizia la marcia verso nuovi territori, marcia i cui confini sono già stati preannunciati da Cristo a Giuseppe:
“…Poi egli se ne andrà verso Occidente, nel luogo più remoto possibile… Chiedigli verso quale luogo lo spinge il suo cuore; egli ti dirà, stanne certo, che andrà nella valle di Avallon e resterà in quel paese. Queste terre si svolgono completamente verso Occidente”.
E in quelle Terre d’Occidente, verso la Collina di Avalon, l’anello si chiuderà.
Tutta l’epopea dei Cavalieri del Graal, gli spostamenti da un luogo all’altro della Coppa, termineranno nelle mani di Galad figlio di Lancillotto.
Costui è investito del compito di riportare il Graal a Sarraz e da qui, nella Gerusalemme Celeste da cui entrambi non torneranno mai più su questa terra.
Galaad, come profetizzato, sarà il nono discendente di Giuseppe d’Arimatea, (tre volte tre).
Nascerà dalla sorella di Giuseppe e da Hebron poiché Josefo, figlio di Giuseppe, si voterà al sacerdozio e non toccherà donna.
Il Graal dunque, scompare dalla visione umana.
Invano i sacerdoti vestiti di bianco erigeranno abbazie, fortezze e castelli.
L’Arca che conteneva la Coppa, che sprigionava lampi, tuoni, aurore boreali o musiche angeliche, non c’è più.
Negli uomini ne è rimasto il ricordo e la nostalgia.
Ne è rimasto soprattutto il desiderio, la presunzione che l’uno o l’altro degli Ordini cavallereschi o monastici sia abbastanza puro e perfetto da poterlo attirare nuovamente verso di sé.
Ma, teniamolo sempre ben presente: il Graal non è più manifesto nel mondo fisico.
Tutti tenteranno di possederlo ancora materialmente, ma è una grossolana interpretazione del messaggio esoterico.
Il Graal ormai, è soltanto un simbolo, non lasciamoci incantare dalla letteratura romantica o avventurosa alla “Indiana Jones”. Nel film di Spielberg, attraverso prove di ogni genere, l’eroe giunge dinanzi alla tavola del Graal; qui ci sono sparse decine di coppe, una più bella e preziosa dell’altra.
Occorre scegliere e non sbagliare, poiché l’errore scaglierebbe il ricercatore in un abisso senza fondo.
E ancora una volta una interpretazione affascinante, ma priva di senso.
La Coppa in quanto tale, non esiste più.
Inutile cercarla nel mondo materiale a tre dimensioni.
Il Graal è ormai soltanto un simbolo, un riferimento a cui adattarsi per modificare l’interno di sé stessi.
Il Graal è il Cuore Divino, ripieno del Sangue purificatore, è la possibilità e la capacità di redenzione aperta a tutti.
Ancora una volta citiamo Guénon, uno dei maggiori studiosi di simbologia comparata.
Così ne parla nel capitolo “Il Sacro Cuore e la leggenda del Santo Graal”:
“In varie tradizioni vi sono simboli identici alla Coppa e quasi tutti hanno il significato di vaso sacro. Nei geroglifici, scrittura ove spesso l’immagine della cosa rappresenta la parola stessa che la designa, il cuore fu raffigurato sempre con un solo emblema: il vaso. In oriente, la coppa sacrificale contiene il Soma vedico o l’Haoma per i mazdei, entrambi prefigurazioni eucaristiche; esse sono altrettanto espressioni della bevanda dell’immortalità, (così come l’Amrita Indù o l’Ambrosia greca) la quale conferisce o restituisce a coloro che l’accolgono, il senso dell’eternità perduto. Altro simbolo è il triangolo con la punta rivolta verso il basso ed è una rappresentazione sia della Coppa sacrificale, che del Cuore, di cui riproduce la forma, semplificandola. Ovunque vi è l’associazione simbolica tra cuore, coppa e vaso, ed ovunque il Cuore è il centro dell’Essere, per cui la coppa viene a rappresentare essa pure il centro del Mondo, cioè la dimora dell’immortalità”.
Queste parole, dovrebbero essere finalmente afferrate e fatte proprie da tutti coloro che nel corso degli anni hanno cocciutamente continuato la ricerca di un oggetto materiale.
Il possesso del Graal, se mai fosse legittimato a qualunque delle religioni sanguinarie e bellicose tuttora sul pianeta, rimane sempre e comunque un simbolo di perfezione, di purezza.
Cosa che pare quanto mai lontana dal verificarsi, in quest’atmosfera di perenne Guerra Santa.
Il Graal non è simbolo di supremazia di un gruppo sull’altro, ma è integrazione, simboleggia il raggiungimento con l’Uno.
Non ci siamo ancora, e forse ci vorranno alcuni secoli perché ciò accada.
Se mai il Graal si è reso manifesto in tempi moderni, lo avrà fatto sicuramente durante la giornata mondiale di preghiera ad Assisi nell’ottobre del 1986.
Quel giorno, tutti i grandi capi religiosi della Terra si incontrarono in spirito di fratellanza, pregando fianco a fianco per la Pace.
Ed il giorno precedente, era possibile fare meditazione fianco a fianco con buddisti e musulmani in una chiesa cattolica, col Santissimo esposto.
Copti, ebrei, shintoisti, niazdei e cristiani levavano comunemente la preghiera allo stesso “Padre Nostro” con la serenità nel cuore.
Quei giorni ero là, al centro di quell’immenso magnete che ci catturava tutti in una spirale di amore e fraternità.
Nel momento culminante, quando i cuori di tutti, presenti e assenti battevano all’unisono, nel momento in cui cielo e terra erano uniti da un ponte di luce quasi visibile a occhio nudo, ecco, forse in quel momento il Graal poteva rendersi manifesto a riversare su tutti il dono della sua essenza spirituale.
Indubbiamente, la ricerca del Graal è un’impresa affascinante, che può tuttora infiammare l’animo di chi nasconde vocazioni cavalleresche, ma è altrettanto astratta che non la ricerca dell’Oro Alchemico o della Pietra Filosofale.
Simboli, nient’altro che simboli, indicazioni di un cammino da percorrere.
La ricerca del Graal non è un viaggio che porta a scandagliare il pianeta da un capo all’altro, ma un ripiegarsi all’interno di sé stessi per ascoltare ciò che è già profondamente impresso nel proprio cuore.
Da sempre.
In tutti questi anni, dopo aver divulgato le notizie di un legame fra la città di Torino ed il Graal, e soprattutto, fra la chiesa della Gran Madre ed il Graal, ho ricevuto centinaia di lettere da persone più o meno lucide mentalmente.
Ed allo stesso modo, anche i giornalisti che hanno riportato le notizie hanno dato segno di non aver capito molto, o forse hanno preferito evidenziare soltanto la versione spettacolare, quella che ha più presa sul pubblico.
Qualcuno ha scritto che il Graal è sepolto nei sotterranei della Gran Madre, quindi, scavando, prima o poi verrà fuori.
Altri ancora mi hanno contattata per raccontarmi che il Graal si trova all’interno della scultura, nella coppa che la statua dinanzi alla chiesa porge verso il cielo.
Anche questa è una follia pericolosa.
Qualcuno, ha dipinto di nero questa coppa, danneggiando la statua.
Insomma, si è scatenata la giostra delle ipotesi più strampalate.
Nel frattempo, sono usciti altri libri che parlano di Torino Magica.
Con un coraggio temerario c’è chi ha copiato, oltre alle informazioni del testo, anche il titolo!
In uno di questi si parla del “Pozzo del Graal” che sarebbe da qualche parte, di conoscenza dell’autore, in città.
Torno a ribadire il concetto precedente con qualche utile rettifica, così lo sprovveduto scrittore potrà aggiustare il tiro in un suo prossimo lavoro: il Graal è un simbolo immateriale, nessuno l’ha mai più custodito o catturato.
Nel corso dei secoli, vennero costruiti castelli e fortezze sulla cima di montagne invalicabili con la speranza che il Graal, che vagava immanifesto nell’aria, vi si fermasse. È proprio sulle cime che semmai, la Coppa potrebbe librarsi, non certo nelle buie profondità di un pozzo.
Il simile attira il simile: “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” recita la Chiesa.
Escludiamo dunque l’ipotesi di un Graal sepolto o murato da qualche parte, a Torino o altrove.
Cancelliamo anche l’immagine di un oggetto fisico che possa essere posseduto, nascosto o rinchiuso.
Come simbolo in effetti, potrebbe trovarsi a Torino, come oggetto no!
Se dovessimo cercare il Graal, guardiamo verso l’alto a coglierne il bagliore spirituale; cerchiamo attorno alla Cupola del Duomo, o nelle grandi, oceaniche manifestazioni di preghiera per l’Unità e per la Pace.
Ma cerchiamo la sua luce!
Cerchiamolo sulle candide vette dell’Himalaya, nel silenzio dei monasteri mai profanati dall’uomo occidentale.
Ma soprattutto, cerchiamo di innalzarci verso di Lui, e non, viceversa, di attirarlo verso di noi con le nostre effimere costruzioni.
lì Graal esiste, non è mai scomparso, è soltanto celato, reso immanifesto sul piano fisico poiché è passato in una diversa dimensione, aldilà della materia e dei suoi vincoli.
Ma la sua energia di unificazione si riversa a fiumi su luoghi ed uomini di buona volontà.
Aiuterà con le sue emanazioni coloro che, con cuore puro lavorano per unificare le religioni, eliminando dal loro nucleo di comune saggezza, la separatività e la belligeranza.
Cerchiamo pure questo Graal che non ha mai abbandonato il pianeta e che, si, talvolta sosta anche a Torino, ma non diamo credito a coloro che scavano, o cercano in luoghi sotterranei e nascosti, fra ruderi e rovine del passato.
Il Graal è “Sempre”, appartiene ad ogni tempo.
Il Graal è “Luce”, e come tale non può stare nell’ombra, allontana la tenebra con la sua stessa presenza.
Il Graal è “Ovunque”, poiché appartiene a tutto il genere umano, di ogni razza, credo o colore
(da FIREFITZ)