Una lezione sull’adorazione
I MAGI D’ORIENTE:

ORO, INCENSO E MIRRA

Una attenta lettura del comportamento dei magi d’Oriente, che raggiunsero Betlemme per adorare “il re dei Giudei appena nato”, e del valore dei doni che lasciarono ai piedi di Gesù e con i quali caratterizzarono la loro visita, ci consente di ricevere importanti insegnamenti relativi alla nostra adorazione.

L’adorazione da parte dell’uomo

Lo scopo principale per cui i credenti si riuniscono nel nome del Signore ogni primo giorno della settimana è sicuramente l’adorazione, e questo atteggiamento è tanto più importante poiché è Dio stesso che lo richiede.

In uno dei brani iniziali del Vangelo che apre il Nuovo Testamento, il Vangelo di Matteo (2:1-10) si trova per la prima volta il termine “adorazione”: un’adorazione rivolta esclusivamente al Figlio di Dio, la Parola diventata carne (Gv 1:14).
Se cerchiamo lo stesso termine nel Vecchio Testamento, scopriremo che esso viene menzionato per la prima volta da Abraamo in occasione del sacrificio di Isacco.
Nel caso di Abramo l’adorazione è indubbiamente rivolta a Dio, ma altrettanto indubbiamente essa viene usata in occasione di un sacrificio che prefigurava il sacrificio di Cristo. Questo ci porta a considerare che, quando Dio ci chiama ad adorare, la nostra adorazione acquista valore solo se passa attraverso il Signore Gesù.
Questa verità ci viene ricordata nella lettera agli Ebrei: “Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè, il frutto di labbra che confessano il suo nome” (Eb 13:15).

E ciò è in piena sintonia con la dichiarazione di Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6).
È bello notare che Matteo, alla venuta di Gesù nel mondo, descrive per la prima volta un atto dell’adorazione, quello dei magi, i quali, “entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono”, ma allo stesso modo, nel raccontare il commiato di Gesù dai suoi apostoli prima di ritornare in Cielo, termina il suo Vangelo descrivendo per l’ultima volta lo stesso atto: “Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro designato. E, vedutolo, lo adorarono (Mt 28:16-17).

Ritornando al nostro brano iniziale, comprendiamo che adorare equivale ad “offrire”, cioè a dare qualcosa al Signore: l’esatto contrario di richiesta, supplica o intercessione.
Osservando attentamente i magi e le loro azioni ci accorgiamo che essi rappresentano profeticamente tutte le nazioni che nel Re-gno del Millennio si recheranno dal Re dei Giudei in Israele per offrire a Lui i propri doni. Infatti, ciò che avverrà nel futuro regno del Messia viene descritto, nel Salmo 72:10-11, con le se-guenti parole:
“I re di Tarsis e delle isole gli paghe-ranno il tributo, i re di Seba e di Saba gli offriranno doni; tutti i re gli si prostreranno davanti, tutte le nazioni lo serviranno”.
Si-milmente in Isaia 60:6 è scritto:
“Una moltitudine di cam-melli ti coprirà, dromedari di Madian e di Efa; quelli di Seba verranno tutti, portando oro e incenso, e proclamando le lodi del SIGNORE”.
Ma, se le azioni dei magi ci presentano il quadro profetico del regno millenniale, allo stesso tempo i magi stessi rappresentano i molti pagani, e noi siamo tra questi, che nel corso del tempo hanno cercato il Figlio di Dio, che Lo hanno trovato, che Lo hanno riconosciuto come il Re dei re e il Signore dei signori, che Lo hanno accettato come personale Salvatore e che Lo hanno adorato e Gli hanno offerto a loro volta un dono.
Perciò vorrei porre la nostra attenzione soprattutto sui doni che i magi offrirono al nostro Signore e sul dono che tutti i credenti gli offrono o gli dovrebbero offrire.
Ma prima di fare un’analisi dei doni offerti al Signore Gesù, vorrei brevemente esaminare il comportamento e le motivazioni che hanno condotto questi magi a Betlemme.

Il comportamento dei magi
1. Fissarono lo scopo del loro viaggio.
Analizzando con cura il testo possiamo senza ombra di dubbio presupporre che i magi conoscevano la Parola di Dio costituita a quel tempo solo dal Vecchio Testamento.
Non solo conoscevano la Parola di Dio, ma probabilmente, come si evince dal contesto del brano, nel leggere le profezie riguardanti la venuta del Messia, hanno compreso che questo straordinario personaggio non era altri che Dio stesso; perciò hanno maturato in cuor loro di andare di persona a porgere omaggio all Dio che si faceva uomo.
Infatti, è lo scopo del loro viaggio che mette in chiara evidenza questa loro conoscenza: “Siamo venuti per adorarlo” (Mt 2:2). Questo era lo scopo prioritario che si erano prefissati e, dal momento che solo Dio è degno di essere adorato, è indiscutibile che lo scopo del loro viaggio era incontrare il Dio incarnato.
Cosa risponderemmo noi se qualcuno ci chiedesse perché ogni domenica ci rechiamo presso il luogo di culto della nostra assemblea? Dovremmo rispondere che abbiamo un solo scopo: “Ci rechiamo in quel luogo per adorare Dio”.

2. Prepararono con attenzione il loro viaggio.
Sempre dalla lettura del brano in esame si può notare che i magi non erano persone stravaganti che, così, ad un tratto, decidono di mettersi in viaggio senza sapere dove andare; anzi, vediamo che essi saggiamente, prima di partire, hanno fissato la mèta che dovevano raggiungere, preparando ogni cosa con cura e prendendo ogni informazione necessaria per poterla raggiungere.
E questa mèta era appunto il luogo dove doveva nascere il Messia, il re dei Giudei.

3. Ricercarono una guida sicura.
Ancora dalla lettura dello stesso brano, possiamo notare che essi, sia per dare inizio al loro viaggio, che per scegliere la giusta via, non si affidarono al caso, o ad altre persone più o meno informate, ma aspettarono che apparisse in cielo l’unica guida sicura mandata da Dio: la stella che doveva condurli fino a Gesù, e la seguirono fedelmente.

In modo analogo Dio ha dato all’uomo una guida sicura per condurlo all’unico e vero Salvatore, e questa guida sicura è lo Spirito Santo che si mostra all’uomo attraverso la sua Parola, la Bibbia.

4. Partirono senza esitazione.
All’apparizione della stella, i magi partirono senza esitare. Lasciarono prontamente tutte le cose del loro mondo: la propria dimora, la propria terra, i propri parenti, i propri amici, per andare ad adorare il Signore. Lo scopo che si erano prefissati riempiva totalmente il loro cuore, la loro anima e la loro mente ed è per questo che non esitarono.
Anche i credenti sono chiamati ogni primo giorno della settimana a staccarsi senza esitare dalle cose temporali, a lasciare i parenti e gli amici increduli, per quanto cari essi siano, per recarsi nel luogo dove, insieme ai fratelli e alle sorelle della chiesa locale, possono dedicarsi interamente con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza che è in loro, al servizio che Dio gradisce più di ogni altro: l’adorazione.

5. Non si lasciarono turbare dagli eventi.
Come abbiamo letto nel brano, arrivati a Gerusalemme probabilmente non videro più la stella ed allora, come strumenti nelle mani di Dio, si fermarono e, tramite il colloquio con Erode, annunciarono a coloro che avrebbero dovuto attenderlo, che era nato il loro Messia. Quale sarà stato il loro turbamento nel vedere che, pur conoscendo dove doveva nascere, nessuno lo aspettava e meno che mai nessuno pensava di rendergli l’omaggio dovuto?!?

Purtroppo la conoscenza in quei capi dei sacerdoti e in quegli scribi, aveva toccato solo la parte intellettuale della loro mente, mentre la parte affettiva del loro cuore era rimasta insensibile. Troppo presi dai problemi temporali per pensare alle cose di Dio.
Quanti credenti, nel recarsi al loro luogo di culto per adorare Dio, dimenticano di lasciare a casa i problemi e le preoccupazioni quotidiane e, pur essendo fisicamente presenti, sono assenti con la loro mente e soprattutto con il loro cuore?
Ricordiamo il rimprovero di Dio al suo popolo: “Questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini” (Is 29:13).
Impariamo dai magi, i quali rimasero fermi nel loro proponimento e non si lasciarono coinvolgere dai turbamenti esterni, ma proseguirono il loro viaggio con un cuore pieno di ardore verso Dio.

6. Sperimentarono la vera gioia.
Quando i magi ripartirono da Gerusalemme, videro che la guida sicura mandata da Dio era di nuovo apparsa nel cielo, ed essa li guidò fino a Betlemme, dove era Gesù e lì si fermò; allora leggiamo che, “quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia”.
Quale allegrezza vi è nel nostro cuore, ogni qualvolta giungiamo al luogo di culto della nostra assemblea sapendo che insieme al suo popolo adoreremo il Signore?

“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18:20): questa promessa ci pervade di una grandissima gioia come accadde ai magi?

7. Andarono davanti a Dio.
I magi, “entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua ma-dre; prostratisi, lo adorarono; e, aperti i loro tesori, gli offri-rono dei doni: oro, incenso e mirra” (Mt 2:11).
“Prostratisi, lo adorarono”: non “li” adorarono, ma “Lo” adorarono. Adorarono solo il Signore Gesù, poiché solo Gesù, essendo Dio, era degno di tale atto.
Questo passo dovrebbe aprire gli occhi spirituali a tutti coloro che volutamente o inconsciamente adorano Maria elevandola ad una posizione pari a quella del Signore Gesù. Essi sono entrati nella casa, sono davanti a Dio e finalmente possono iniziare la loro adorazione, prostrandosi e offrendo i loro doni.

Il primo dono: l’oro

Ritornando ora al nostro tema, vedremo che i tre doni, oltre al valore materiale, assumono singolarmente un valore simbolico, poiché ciascuno di essi descrive, in modo unico e prezioso, quello che Gesù Cri-sto è, quello che ha fatto per tutti gli uomini e, come conseguenza della sua opera perfetta, quello che il Padre ha gustato in Lui.
Infatti questi doni, nella loro simbologia, si sono distinti in tutta la vita terrena del Signore, dal giorno della sua nascita fino al giorno della sua morte.
Leggiamo nel racconto della presentazione di Gesù al tempio:
“Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione (qui si fa riferimento alla purificazione di Maria, quale novella madre) secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi” (Lu 2:22-24).
Nel testo della legge relativa alle donne che hanno partorito, leggiamo: Se non ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due giovani piccioni: uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio per il peccato” (Le 12:8). Da questo testo deduciamo che i genitori di Gesù erano poveri, perciò l’oro, che i magi offrirono a Gesù, nel suo valore prettamente materiale, probabilmente servì al sostentamento della sua famiglia costretta a rifugiarsi in Egitto durante la persecuzione di Erode.
Dalla definizione dell’oro possiamo risalire al suo valore simbolico relativamente alla persona del Signore Gesù:
“L’oro puro si presenta come un metallo lucente di colore giallo caratteristico, assai tenero, duttilissimo ed estremamente malleabile (questi termini ci parlano della perfetta sottomissione di Gesù nell’adempiere il piano di salvezza che il Padre gli aveva preparato prima della fondazione del mondo: Egli non si è mai ribellato).
Tra le sue caratteristiche troviamo che l’oro è un ottimo conduttore del calore (che ci parla dell’opera di Gesù, il quale ci ha trasmesso fedelmente il calore dell’amore del Padre) ed è un ottimo conduttore dell’elettricità (caratteristica che può parlarci della luce spirituale, e quindi della nuova vita, generata nei credenti dallo Spirito Santo per mezzo della fede posta in Gesù).
Per la sua grande inerzia agli agenti chimici, l’oro viene considerato il metallo nobile per definizione: la proprietà che ha l’oro di non ossidare e di non corrodersi può parlarci dell’incorruttibilità del nostro Signore, il quale “è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato”; questa proprietà è inalterabile nel tempo e ci aiuta a ricordare che “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” Eb 4:15 e 13:8).

Per le sue caratteristiche l’oro è da sempre usato specialmente per adornare i nobili regnanti e le loro case; perciò, il fatto che esso sia nominato per primo, mette in evidenza la nobiltà di Gesù e lo scopo per cui il Figlio di Dio venne su questa terra, che era quello di stabilire in essa il suo regno divino.
Infatti poiché Gesù Cristo è Dio fatto uomo, ed è Re dall’eternità, sotto l’impulso dello Spirito Santo, questo titolo gli fu riconosciuto anche dagli uomini suoi contemporanei: “Dov’è il re dei Giudei che è nato?” chiesero i magi alla sua nascita.
“Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”, gli disse Natanaele all’inizio del suo ministero (Gv 1:49).
“Benedetto il Re che viene nel nome del Signore”, disse a gran voce il popolo israelita al suo ingresso trionfale in Gerusalemme (Lu 19:38).
“Ma dunque, sei tu re?”, chiese Pilato, nel suo interrogatorio, prima di abbandonarlo nelle mani dei suoi nemici perché fosse crocifisso, e Gesù rispose: “Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto al mondo” (Gv 18:37).
E Pilato, avendolo riconosciuto tale, scrisse e fece apporre sulla croce il titolo che gli apparteneva di diritto, scritto in ebraico, in latino e in greco: “Gesù il nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19:19). Facendo questo, Pilato, fu un involontario strumento nelle mani dello Spirito Santo per dichiarare al popolo israelita che l’uomo che moriva su quella croce, non solo era il loro Re, il Messia tanto atteso, ma era anche l’Unigenito Figlio di Dio, uno con il Padre, come Gesù stesso aveva più volte dichiarato.
Ma come ha fatto lo Spirito Santo a rivelare questa verità?
All’epoca c’era l’usanza, che persiste ancora oggi, che gli scribi prendessero le lettere iniziali delle parole componenti una frase per formarne un’altra con un altro senso.
E quale fu la loro sorpresa, quando improvvisamente, al cospetto della croce, si accorsero che le iniziali della frase ebraica: “Yeshua Hanozri Wumelech Hajehudim”, altro non erano che il tetragramma sacro ed impronunziabile del nome di Dio: “YHWH”.
Come abbiamo visto, l’oro, oltre a presentarci Gesù nella sua perfetta sottomissione, nel suo compito di farci conoscere il Padre e nella sua capacità di donarci una nuova vita, ci presenta Gesù nella veste del Re dei re, rivelandoci anche la sua natura divina e parlandoci della perfe-zione del Dio invisibile e della sua assoluta purezza; in altre parole della sua perfetta santità.
Per questo è molto importante per il Signore che anche noi gli assomi-gliamo in questo aspetto puro della sua persona: “Come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: «Siate santi, perché io sono santo»” (1P 1:15-16). Infatti, non dimentichiamo, che anche noi regneremo in futuro con Lui come re e sacerdoti (Ap 1:5-6; 20:6). Perciò, osserviamo attentamente i magi: essi Lo onorarono con oro e Lo adorarono, per-ché sapevano chi Egli era.
Domandiamoci ora:
Noi, quando ci raduniamo per ricordare il Signore, siamo consapevoli che siamo davanti a Dio? Sentiamo la sua presenza viva in mezzo a noi? Riconosciamo la Sua suprema maestà? Lo onoriamo e lo adoriamo come veramente Egli vuole?

Il secondo dono: l’incenso

Dall’enciclopedia rileviamo che l’incenso è una:
“Gommoresina che si estrae, mediante incisione della corteccia, da varie piante. Si presenta sottoforma di grani tondeggianti o irregolari, trasparenti, fragili, con odore aromatico. Quando viene bruciato si decompone svolgendo fumi bianchi dal caratteristico odore e per il suo profumo e la tendenza di salire verso l’alto l’incenso è simbolo della preghiera. Nel tempio di Gerusalemme ogni mattina ed ogni sera veniva bruciato in sacrificio di lode a Dio (Esodo 30:7-8); inoltre l’incenso entrava a far parte della composizione del profumo che veniva usato solamente per uso sacro (Esodo 30:34-38). Esso veniva pure aggiunto all’olio versato sull’offerta di fior di farina (Levitico 2:1-2, 15-16), ed era posto sui pani della presentazione (Levitico 24:7), ma il suo uso era espressamente proibito come sacrificio per i peccati (Levitico 5:11)”.

Il “Di-zionario Biblico” aggiunge che la parola ebraica utilizzata per “incen-so” deriva dalla parola “bianco”, termine che ci ricorda la vita immacolata e senza peccato di Gesù nella sua duplice funzione: di Sommo Sacerdote e di Vittima.
“A noi era necessario un sommo sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli; il quale… è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna” (Eb 7:26-27; 9:12-13).

Come abbiamo letto, l’incenso veniva e viene considerato il simbolo spirituale della consacrazione e della preghiera.
Riflettendo su questa simbologia, mi sono soffermato a pensare a quale sarà stato il profumo d’odor soave che il Padre Celeste ha gustato dalla vita di preghiera del nostro Signore Gesù Cristo.

Nei vangeli leggiamo che Gesù amava molto rivolgersi al Padre in preghiera; infatti, scorrendo le pagine, vediamo che pregò:
• Pubblicamente nell’occasione del suo battesimo (Lu 3:21).
• Da solo nei luoghi deserti (Lu 5:16).
• Di notte sul monte prima di eleggere i dodici apostoli (Lu 6:12).
• Ancora di notte sul monte prima di raggiungere i suoi discepoli camminando sull’acqua (Mt 14:23).
• In disparte dai suoi discepoli prima di chiedere loro chi Egli era (Lu 9:18).
• Sul monte della trasfigurazione con Pietro, Giovanni e Giacomo (Lu 9:28).
• Ancora in disparte dai suoi discepoli e poi, alla richiesta di uno di loro affinché li ammaestrasse sul come pregare, insegnandogli il Padre nostro quale modello di preghiera (Lu 11:1:4).
• In pubblico prima della risurrezione di Lazzaro (Gv 11:41-42).
• Privatamente per Pietro affinché, dopo il tradimento, la sua fede non venisse meno (Lu 22:31-32).
• Davanti ai suoi apostoli, dopo l’istituzione della Santa Cena, pregando per loro e per tutti i credenti che avrebbero creduto in Lui per mezzo della loro parola (Gv 17).
• Nella lettera agli Ebrei leggiamo che “nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime egli offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte” (Eb 5:7).
• Ed è così che Lo troviamo nel Getsemani (Lu 33:39-46).
Preghiere, supplicazioni, grida e lacrime. A questo riguardo è significativa una sentenza giudaica che dice: “Ci sono tre sorta di orazioni, l’una superiore all’altra: la preghiera, il grido e le lacrime; poiché:
La preghiera si fa in silenzio.
Il grido con le mani elevate al cielo.
Ma le lacrime
(che ci ricordano la caratteristica tondeggiante e trasparente dell’incenso), che esprimono la massima afflizione, superano tutto il resto”.

• Infine, mentre lo crocifiggevano, pregò per i Suoi carnefici, (Lu 23:34).

In tutto ciò che Gesù disse e fece, in tutto il Suo cammino e nelle Sue opere, Egli fu come un sacrificio d’odor soave presso il Padre.
Infatti Gesù compiacque sempre Suo Padre, perché si studiò di fare sempre la Sua volontà: “… non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (Lu 22:42); “facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fl 2:8. E il Padre, per due volte manifestò il suo grande compiacimento in Lui: nell’occasione del suo battesimo e nell’occasione della sua trasfigurazione (Mt 3:17; 17:5)

Anche noi, in quanto cristiani, dobbiamo compiacere il nostro Padre celeste divenendo simili al nostro Signore con la preghiera, con l’obbedienza e con la fedeltà, perciò domandiamoci:
• La preghiera è una parte importante della mia vita o è solo un atto abitudinario o occasionale?
• Il profumo che emano intorno a me con l’obbedienza e la fedeltà alla Parola di Dio è veramente il profumo di Cristo?

Il terzo dono: la mirra
Sempre dall’enciclopedia rileviamo che la mirra e una “Gommoresina secreta da diverse piante appartenenti alla famiglia delle Burseracee, in particolare dalla Commiphora abyssinica, albero spinoso alto sino a dieci metri, originario dell’Abissinia e dell’Egitto (le spine ci ricordano la corona di scherno che Gesù dovette portare sul suo capo).
La mirra si presenta sotto forma di grani tondeggianti, o frammenti irregolari di colore rossastro all’esterno e quasi bianchi all’interno con un lieve odore aromatico e sapore amaro (i grani tondeggianti di colore rossastro ci ricordano le gocce di sangue che coprirono da prima il volto di Gesù nel Getsemani, poi il suo capo coronato di spine e infine tutto il suo corpo flagellato e martoriato dalla crocifissione).
La mirra fin dai tempi remoti fu usata come profumo e sostanza purificante.
Nell’antico Egitto veniva adoperata nell’imbalsamazione e nella farmacopea popolare fu usata come astringente e anestetico.
Anche la mirra entrava a far parte della composizione dell’olio santo che veniva usato solamente per uso sacro (Esodo 30:23)”
.

Quest’erba amara, nella sua simbologia, ci parla delle sofferenze di Gesù, la cui intera vita è stata contrassegnata da persecuzioni sin dalla più tenera infanzia, da incomprensioni, da tradimenti, fino al loro culmine nella sua morte in croce.
• Appena nato, i suoi genitori dovettero fuggire con Lui in Egitto, a causa di Erode che Lo voleva uccidere (Mt 2:13).
• Gli abitanti di Nazaret, il luogo dove era cresciuto, non credettero in Lui e volevano precipitarlo giù dal monte (Lu 4:29).
“Neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7:5).
• Quando di sabato guarì l’uomo dalla mano paralizzata “i Farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli Erodiani contro di lui, per farlo morire” (Mr 3:1-6).
• Quando, ancora di sabato guarì un paralitico a Betesda “i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo” (Gv 5:16).
• Giovanni 1:11 ci ricorda che “è venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto”.
• Malgrado i vari miracoli compiuti che manifestavano la sua divinità, quando dichiarò che Egli era uno con il Padre, cercarono di lapidarlo (Gv 10:30-33).
• Quando risuscita Lazzaro “i capi dei sacerdoti deliberarono di far morire anche Lazzaro, perché, a causa sua, molti Giudei andavano e credevano in Gesù” (Gv 12:10).
• Uno dei dodici apostoli, Giuda, lo tradì (Lu 22:47-48).
• Tutti lo abbandonarono (Mr 14:50).
• Un altro, Pietro, lo rinnegò (Lu 22:54-62).
• Tutto il popolo, che pochi giorni prima Lo aveva osannato quale Re (Gv 12:12-13), sobillato dai capi sacerdoti, chiese la sua crocifissione (Mt 27:20).
• Pur riconosciuto Innocente e Giusto da Pilato e da Erode (Lu 23:14-15) fu condannato a morte (Mt 27:24).
• Fu beffeggiato dai suoi carnefici (Mt 27:27-31).
• Prima della crocifissione, quale unico atto di compassione, “Gli diedero da bere del vino mescolato con mirra; ma non ne prese” (Mr 15:23).
• Fu posto sulla croce in mezzo a due malfattori (Mr 15:27-28).
• Fino alla fine nessuna pietà per Lui dai passanti; dai capi sacerdoti, dagli scribi, dagli anziani e neppure dai ladroni crocifissi con Lui: anche sulla croce venne schernito e insultato fino all’ultimo (Mt 27:39-44).
• E per ultimo, anche il Padre lo abbandonò (Mt 27:46), perché Egli si era fatto peccato per noi (2Co 5:21) e fino a questa estrema conseguenza “ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul le-gno della croce” (1P 2:24).

Come si può misurare un tale amore?
Solo il Padre, per mezzo dello Spirito Santo, può renderci “capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo” (Ef 3:18).
Giovanni ci racconta cosa accadde dopo la sua morte:
“Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma in segreto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù, e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e prese il corpo di Gesù. Nicodemo, che in precedenza era andato da Gesù di notte, venne anch’egli, portan-do una mistura di mirra e d’aloe di circa cento libbre (circa trenta chilogrammi). Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in fasce con gli aromi, secondo il modo di seppellire in uso presso i Giudei” (Gv 19:38-40).
Davanti a tanto amore e a tanta sofferenza, interroghiamo il nostro cuore e domandiamoci:
Per dimostrare una vera riconoscenza al nostro Dio, prendiamo anche noi ogni giorno la nostra croce per far morire le opere della carne e vivere secondo il modello di Gesù?

Pensiero finale
Come abbiamo visto, Gesù, nella sua prima venuta, nella sua simbologia è stato ricoper-to di mirra dalla nascita alla morte, cioè è stato circondato da innumere-voli sofferenze.
Ma quando la Bibbia parla della seconda venuta di Gesù, la mirra manca e si parla soltanto di oro e di incenso.
Ricordate il versetto di Isaia 60:6 che ho citato all’inizio?
“Una moltitudine di cam-melli ti coprirà, dromedari di Madian e di Efa; quelli di Seba verranno tutti, portando oro e incenso, e proclamando le lodi del SIGNORE”.
Perché in questo passo non viene cita-ta la mirra?
Perché il profeta Isaia, in questo testo, parla del ritorno di Cristo in gloria e potenza e del suo regno di pace sulla terra.
Ecco perché non ci sarà più mirra per il Signore, perché Egli non dovrà più soffrire.
Infatti, la prima volta Egli è venuto per portare i peccati del mondo ed è stato offerto una volta per tutte in sacrifi-cio per i peccati di molti; ma la seconda volta Egli non verrà più come Agnello di Dio, bensì come Re dei re e Signore dei signori per la salvezza di tutti coloro che Lo attendono (Eb 9:27-28).
Lo attendiamo noi?

Ma vi è ancora una domanda rimasta in sospeso: “Quale dono può e deve fare il credente al Suo Signore?”.
Sono convinto che ogni vero credente sa già la risposta, poiché lo Spirito Santo, nel giorno della nostra conversione, nel convincerci di peccato, giustizia e giudizio, ci ha anche fatto capire quello che l’apostolo Paolo aveva chiaramente compreso:

• “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo , ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato sé stesso per me” (Ga 2:20).
“Nessuno di noi infatti vive per sé stesso, e nessuno muore per sé stesso; perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore” (Ro 14:7-8).
Doniamo dunque l’intera nostra vita a Gesù, questo è il più bel dono che noi possiamo fargli.

Attraverso il dono dell’oro diciamogli:
“Signore, quello che abbiamo è tuo, sei tu che lo hai donato a noi in questa vita affinché lo amministriamo, ma ogni cosa ti appartiene.
E come l’oro è il metallo più prezioso, il metallo che ha più valore, vogliamo dirti che Tu sei agli occhi nostri la cosa più preziosa, il cui valore è inestimabile.”

Attraverso il dono dell’incenso diciamogli ancora:
“Signore, vorremmo offrirti la nostra vita, consacrarla a Te, affinché intorno a noi si senta il tuo buon profumo:
«Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione»”
(2Co 2:15).

Infine, attraverso il dono della mirra diciamogli:
“Signore, vorremmo esprimerti tutto l’apprezzamento per quello che Tu hai fatto per noi. Vogliamo considerare con estrema attenzione il sacrificio del tuo corpo dato per noi e l’offerta del tuo sangue versato per noi: sacrificio ed offerta che ci ricordano ogni giorno le tue sofferenze e la tua morte: il prezzo pagato per la nostra eterna redenzione. Rendimi pronto e disponibile, Signore, a soffrire per Te”.

Ringraziamo il Signore per l’esempio dei magi, che Egli ha voluto trasmetterci attraverso la sua Parola. Sono personaggi misteriosi nella loro origine e nella loro identità, ma quello che conosciamo (la loro adorazione di Gesù!) spinge anche noi ad adorarLo per la sua perfetta opera di salvezza.

 

Antonio Degan
(Assemblea di Piacenza, via Madoli)